Approcci Fenomenologici All'autocoscienza

Sommario:

Approcci Fenomenologici All'autocoscienza
Approcci Fenomenologici All'autocoscienza

Video: Approcci Fenomenologici All'autocoscienza

Video: Approcci Fenomenologici All'autocoscienza
Video: Umberto Galimberti - Psichiatria e fenomenologia - INTEGRALE - Lezione 4 di 4 2024, Marzo
Anonim

Navigazione di entrata

  • Contenuto dell'iscrizione
  • Bibliografia
  • Strumenti accademici
  • Anteprima PDF di amici
  • Informazioni sull'autore e sulla citazione
  • Torna in cima

Approcci fenomenologici all'autocoscienza

Pubblicato per la prima volta sabato 19 febbraio 2005; revisione sostanziale Giovedì 23 maggio 2019

Per i fenomenologi, la data immediata e la prima persona dell'esperienza è spiegata in termini di autocoscienza pre-riflessiva. Nel senso più elementare del termine, l'autocoscienza non è qualcosa che si verifica nel momento in cui si ispeziona attentamente o si introspeggia riflessivamente le proprie esperienze, o si riconosce la propria immagine speculare nello specchio, o si riferisce a se stessi con l'uso della prima persona pronome o costruisce un'auto-narrativa. Piuttosto, questi diversi tipi di autocoscienza devono essere distinti dall'autocoscienza pre-riflessiva che è presente ogni volta che vivo o sto vivendo un'esperienza, ad esempio ogni volta che percepisco coscientemente il mondo, ricordo un evento passato, immagino un evento futuro, pensando a un pensiero occulto, o sentendosi triste o felice, assetato o dolorante e così via.

  • 1. Autocoscienza pre-riflessiva
  • 2. Questioni filosofiche e obiezioni
  • 3. Temporalità e limiti dell'autocoscienza riflessiva
  • 4. Autocoscienza corporea
  • 5. Forme sociali di autocoscienza
  • 6. Conclusione
  • Bibliografia

    • Riferimenti
    • Bibliografia correlata
  • Strumenti accademici
  • Altre risorse Internet
  • Voci correlate

1. Autocoscienza pre-riflessiva

Si può avere un legame con il concetto di autocoscienza pre-riflessiva contrastandola con l'autocoscienza riflessiva. Se mi chiedi di darti una descrizione del dolore che sento nel mio piede destro, o di quello a cui stavo solo pensando, rifletterei su di esso e quindi prendere una certa prospettiva che era un ordine rimosso dal dolore o dal pensiero. Pertanto, l'autocoscienza riflessiva è almeno una cognizione di secondo ordine. Potrebbe essere la base per un rapporto sulla propria esperienza, sebbene non tutti i rapporti comportino una notevole quantità di riflessione.

Al contrario, l'autocoscienza pre-riflessiva è pre-riflessiva, nel senso che (1) è una consapevolezza che abbiamo prima di fare qualsiasi riflessione sulla nostra esperienza; (2) è una consapevolezza implicita e di primo ordine piuttosto che una forma di autocoscienza esplicita o di ordine superiore. In effetti, un'autocoscienza riflessiva esplicita è possibile solo perché esiste un'autocoscienza pre-riflessiva che è un tipo di autocoscienza permanente e più primaria. Sebbene i fenomenologi non siano sempre d'accordo su importanti questioni relative al metodo, alla concentrazione o persino al fatto che esista un ego o un sé, sono in stretto accordo unanime sull'idea che la dimensione esperienziale implica sempre una consapevolezza di sé pre-riflessiva così implicita. [1]In linea con Edmund Husserl (1959, 189, 412), il quale sostiene che la coscienza comporta sempre un'apparizione di sé (Für-sich-selbst-erscheinens), e in accordo con Michel Henry (1963, 1965), che nota che l'esperienza è sempre auto-manifestante, e con Maurice Merleau-Ponty che afferma che la coscienza è sempre data a se stessa e che la parola "coscienza" non ha alcun significato indipendentemente da questa donazione di sé (Merleau-Ponty 1945, 488), scrive Jean-Paul Sartre che l'autocoscienza pre-riflessiva non è semplicemente una qualità aggiunta all'esperienza, un accessorio; piuttosto, costituisce il modo stesso di essere dell'esperienza:

Questa autocoscienza che dovremmo considerare non come una nuova coscienza, ma come l'unica modalità di esistenza che è possibile per una coscienza di qualcosa (Sartre 1943, 20 [1956, liv]).

In breve, a meno che un processo mentale non sia pre-riflettente autocosciente, non ci sarà nulla di simile a subire il processo, e quindi non può essere un processo fenomenalmente consapevole (Zahavi 1999, 2005, 2014). Una conseguenza di ciò è ovviamente che l'autocoscienza in questione è così fondamentale e basilare da poter essere attribuita a tutte le creature fenomenalmente coscienti, compresi vari animali non umani.

La nozione di autocoscienza pre-riflessiva è correlata all'idea che le esperienze abbiano una "sensazione" soggettiva nei loro confronti, una certa qualità (fenomenale) di "com'è" o cosa "si prova" ad averli. Come è generalmente espresso al di fuori dei testi fenomenologici, sottoporsi a un'esperienza cosciente significa necessariamente che c'è qualcosa che è come se il soggetto avesse quell'esperienza (Nagel 1974; Searle 1992). Questo è ovviamente vero per le sensazioni corporee come il dolore. Ma è anche il caso di esperienze percettive, esperienze di desiderio, sentimento e pensiero. C'è qualcosa che sembra assaggiare il cioccolato, e questo è diverso da come è ricordare o immaginare com'è assaggiare il cioccolato o annusare la vaniglia, correre, stare fermi, sentirsi invidiosi, nervosi, depressi o felice, o per intrattenere una credenza astratta.

Tutte queste diverse esperienze sono, tuttavia, caratterizzate anche dal loro distinto carattere di prima persona. La somiglianza di episodi fenomenali sta propriamente parlando di ciò che è come per me. Questa per me non si riferisce a una qualità esperienziale specifica come acida o morbida, ma si riferisce alla distinta personalità in prima persona dell'esperienza. Si riferisce al fatto che le esperienze che sto vivendo mi sono date in modo diverso (ma non necessariamente migliore) rispetto a chiunque altro. Potrei vedere che sei triste, ma il mio vedere la tua tristezza è qualitativamente diverso dal mio vivere attraverso la mia tristezza. Di conseguenza, si potrebbe affermare che chiunque neghi la perplessità dell'esperienza semplicemente non riesce a riconoscere un aspetto costitutivo essenziale dell'esperienza. Una siffatta negazione equivarrebbe a una negazione della prospettiva in prima persona. Ciò implicherebbe l'idea che la mia mente non mi sia data affatto, sarei la mente o cieca, o che mi venga presentata esattamente allo stesso modo delle menti degli altri.

A volte si distinguono due usi del termine "cosciente", un uso transitivo e un uso intransitivo. Da un lato, possiamo parlare del nostro essere consapevoli di qualcosa, sia esso x, yo z. Dall'altro, possiamo parlare del nostro essere semplificatore cosciente (piuttosto che non cosciente). Per qualche tempo un modo diffuso di spiegare la coscienza intransitiva nella scienza cognitiva e nella filosofia analitica della mente è stato per mezzo di un qualche tipo di teoria di ordine superiore. La distinzione tra stati mentali consci e non coscienti è stata presa sulla base della presenza o assenza di uno stato meta-mentale rilevante (ad esempio, Armstrong 1968; Carruthers 1996, 2000; Lycan 1987, 1996; Rosenthal 1997). Pertanto, la coscienza intransitiva è stata presa per dipendere dalla mente che dirige il suo scopo intenzionale sui propri stati e operazioni. Come dice Carruthers,il sentimento soggettivo dell'esperienza presuppone una capacità di consapevolezza di ordine superiore: "tale autocoscienza è una condizione concettualmente necessaria affinché un organismo sia soggetto di sensazioni fenomenali, o che ci sia qualcosa che assomiglia alle sue esperienze" (1996, 152). Ma per Carruthers l'autocoscienza in questione è un tipo di riflessione. A suo avviso, una creatura deve essere in grado di riflettere, pensare e quindi concettualizzare i propri stati mentali se tali stati mentali devono essere stati di cui la creatura è a conoscenza (1996, 155, 157).l'autocoscienza in questione è un tipo di riflessione. A suo avviso, una creatura deve essere in grado di riflettere, pensare e quindi concettualizzare i propri stati mentali se tali stati mentali devono essere stati di cui la creatura è a conoscenza (1996, 155, 157).l'autocoscienza in questione è un tipo di riflessione. A suo avviso, una creatura deve essere in grado di riflettere, pensare e quindi concettualizzare i propri stati mentali se tali stati mentali devono essere stati di cui la creatura è a conoscenza (1996, 155, 157).

Si potrebbe condividere l'opinione secondo cui esiste uno stretto legame tra coscienza e autocoscienza e non è ancora d'accordo sulla natura del legame. E sebbene la visione fenomenologica possa assomigliare superficialmente alla visione delle teorie di ordine superiore, alla fine ci troviamo di fronte a due resoconti piuttosto diversi. I fenomenologi negano esplicitamente che l'autocoscienza presente nel momento in cui avverto coscientemente qualcosa deve essere compresa in termini di un tipo di monitoraggio di ordine superiore. Non comporta un ulteriore stato mentale, ma deve piuttosto essere inteso come una caratteristica intrinseca dell'esperienza primaria. Cioè, in contrasto con i resoconti della coscienza di ordine superiore che affermano che la coscienza è una proprietà estrinseca o relazionale di quegli stati mentali che la hanno,una proprietà conferita loro dall'esterno da qualche altro stato, i fenomenologi in genere sostengono che la caratteristica in virtù della quale uno stato mentale è cosciente è una proprietà intrinseca di quegli stati mentali che lo hanno. Inoltre, i fenomenologi rifiutano anche il tentativo di costruire la coscienza intransitiva in termini di coscienza transitiva, cioè rifiutano l'idea che uno stato cosciente sia uno stato di cui siamo consapevoli come oggetto. Per dirla diversamente, non solo rifiutano la visione secondo cui uno stato mentale diventa consapevole essendo presi come oggetto da uno stato di ordine superiore, ma rifiutano anche la visione (generalmente associata a Brentano) in base alla quale uno stato mentale diventa consapevole prendendosi come oggetto (cfr. Zahavi 2004; 2014).i fenomenologi in genere sostengono che la caratteristica in virtù della quale uno stato mentale è consapevole è una proprietà intrinseca di quegli stati mentali che lo hanno. Inoltre, i fenomenologi rifiutano anche il tentativo di costruire la coscienza intransitiva in termini di coscienza transitiva, cioè rifiutano l'idea che uno stato cosciente sia uno stato di cui siamo consapevoli come oggetto. Per dirla diversamente, non solo rifiutano la visione secondo cui uno stato mentale diventa consapevole essendo presi come oggetto da uno stato di ordine superiore, ma rifiutano anche la visione (generalmente associata a Brentano) in base alla quale uno stato mentale diventa consapevole prendendosi come oggetto (cfr. Zahavi 2004; 2014).i fenomenologi in genere sostengono che la caratteristica in virtù della quale uno stato mentale è consapevole è una proprietà intrinseca di quegli stati mentali che lo hanno. Inoltre, i fenomenologi rifiutano anche il tentativo di costruire la coscienza intransitiva in termini di coscienza transitiva, cioè rifiutano l'idea che uno stato cosciente sia uno stato di cui siamo consapevoli come oggetto. Per dirla diversamente, non solo rifiutano la visione secondo cui uno stato mentale diventa consapevole essendo presi come oggetto da uno stato di ordine superiore, ma rifiutano anche la visione (generalmente associata a Brentano) in base alla quale uno stato mentale diventa consapevole prendendosi come oggetto (cfr. Zahavi 2004; 2014).i fenomenologi rifiutano anche il tentativo di costruire la coscienza intransitiva in termini di coscienza transitiva, cioè rifiutano l'idea che uno stato cosciente sia uno stato di cui siamo consapevoli come oggetto. Per dirla diversamente, non solo rifiutano la visione secondo cui uno stato mentale diventa consapevole essendo presi come oggetto da uno stato di ordine superiore, ma rifiutano anche la visione (generalmente associata a Brentano) in base alla quale uno stato mentale diventa consapevole prendendosi come oggetto (cfr. Zahavi 2004; 2014).i fenomenologi rifiutano anche il tentativo di costruire la coscienza intransitiva in termini di coscienza transitiva, cioè rifiutano l'idea che uno stato cosciente sia uno stato di cui siamo consapevoli come oggetto. Per dirla diversamente, non solo rifiutano la visione secondo cui uno stato mentale diventa consapevole essendo presi come oggetto da uno stato di ordine superiore, ma rifiutano anche la visione (generalmente associata a Brentano) in base alla quale uno stato mentale diventa consapevole prendendosi come oggetto (cfr. Zahavi 2004; 2014).non solo respingono l'idea che uno stato mentale diventa consapevole venendo preso come oggetto da uno stato di ordine superiore, ma rifiutano anche la visione (generalmente associata a Brentano) secondo la quale uno stato mentale diventa consapevole prendendo se stesso come un oggetto (cfr. Zahavi 2004; 2014).non solo respingono l'idea che uno stato mentale diventa consapevole venendo preso come oggetto da uno stato di ordine superiore, ma rifiutano anche la visione (generalmente associata a Brentano) secondo la quale uno stato mentale diventa consapevole prendendo se stesso come un oggetto (cfr. Zahavi 2004; 2014).

Quali argomenti supportano le affermazioni fenomenologiche? I fenomenologi non si limitano a fare appello a una descrizione fenomenologica corretta, ma forniscono argomenti aggiuntivi, più teorici. Una linea di ragionamento trovata praticamente in tutti i fenomenologi è l'opinione che il tentativo di lasciare che la coscienza (intransitiva) sia il risultato di un monitoraggio di ordine superiore genererà un regresso infinito. A prima vista, questa è un'idea piuttosto vecchia. Tipicamente, l'argomento regresso è stato compreso nel modo seguente. Se tutti gli stati mentali occulti sono consapevoli nel senso di essere presi come oggetti dagli stati mentali occorrenti di secondo ordine, allora questi stati mentali di secondo ordine devono essere presi come oggetti dagli stati mentali occorrenti di terzo ordine, e così via all'infinito. La risposta standard a questa obiezione è che il regresso può essere facilmente evitato accettando l'esistenza di stati mentali non coscienti. Questa è precisamente la posizione adottata dai difensori della teoria di ordine superiore. Per loro una percezione o un pensiero di secondo ordine non deve essere cosciente. Sarebbe cosciente solo se accompagnato da un pensiero o percezione (non cosciente) del terzo ordine (Rosenthal 1997, 745). La risposta fenomenologica a questa soluzione è piuttosto semplice, tuttavia. I fenomenologi ammetterebbero che è possibile arrestare il regresso postulando l'esistenza di stati mentali non coscienti, ma sostengono che un tale appello al non cosciente ci lascia con un caso di vacuità esplicativa. Questo è,troverebbero del tutto poco chiaro il motivo per cui la relazione tra due processi altrimenti non coscienti dovrebbe renderne consapevole. O, per dirla diversamente, sarebbero del tutto non convinti dall'affermazione che uno stato senza qualità soggettive o fenomeniche possa essere trasformato in uno con tali qualità, cioè in un'esperienza con carattere di prima persona, con la semplice aggiunta di un non- meta-stato cosciente avente il primo stato come oggetto intenzionale.

L'alternativa fenomenologica evita il regresso. Come scrive Sartre: “[T] qui non è un regresso infinito qui, poiché una coscienza non ha affatto bisogno di una coscienza riflessa [di ordine superiore] per essere consapevole di se stessa. Semplicemente non si pone come un oggetto”(1936, 29 [1957, 45]). Cioè, l'autocoscienza pre-riflessiva non è transitiva in relazione allo stato (di) di cui è consapevole. È, come dice Sartre, la modalità di esistenza della coscienza stessa. Ciò non significa che una meta-coscienza di ordine superiore sia impossibile, ma semplicemente che presuppone sempre l'esistenza di una precedente autocoscienza non oggettiva e pre-riflessiva come condizione di possibilità. Per citare di nuovo Sartre, "è la coscienza non riflessiva che rende possibile il riflesso [e ogni sua rappresentazione di ordine superiore]" (1943,20 [1956, liii]).

Ci sono anche linee di argomentazione nella filosofia analitica contemporanea della mente che sono vicine e coerenti con la concezione fenomenologica dell'autocoscienza pre-riflessiva. Alvin Goldman fornisce un esempio:

[Considera] il caso di pensare a x o di occuparsi di x. Nel processo di pensare a x c'è già una consapevolezza implicita che si sta pensando a x. Non c'è bisogno di riflessione qui, per fare un passo indietro nel pensare a x per esaminarlo … Quando stiamo pensando a x, la mente è focalizzata su x, non sul nostro pensiero di x. Tuttavia, il processo di pensare a x porta con sé un'autocoscienza non riflessiva (Goldman 1970, 96).

Un'opinione simile è stata difesa da Owen Flanagan, che non solo sostiene che la coscienza coinvolge l'autocoscienza nel senso debole che c'è qualcosa che è come se il soggetto avesse l'esperienza, ma parla anche dell'autocoscienza di basso livello coinvolto nella mia esperienza come mia (Flanagan 1992, 194). Come Flanagan sottolinea correttamente, questo tipo primario di autocoscienza non deve essere confuso con la nozione molto più forte di autocoscienza che è in gioco quando stiamo pensando al nostro sé narrativo. Quest'ultima forma di autocoscienza riflessiva presuppone sia la conoscenza concettuale che la competenza narrativa. Richiede la maturazione e la socializzazione e la capacità di accedere e pubblicare rapporti su stati, tratti, disposizioni che rendono una persona una persona. Altri filosofi che hanno difeso punti di vista comparabili, includono José Luis Bermúdez (1998), il quale ha sostenuto che esiste una varietà di forme non autocoscienti di autocoscienza che sono “logicamente e ongeneticamente più primitive delle forme superiori di autocoscienza che sono di solito al centro del dibattito filosofico”(1998, 274; vedi anche Poellner 2003), e Uriah Kriegel (2009) che ha difeso l'esistenza di un tipo di autocoscienza intrinseca e inerente alla coscienza fenomenica. Attraverso una varietà di studi filosofici, quindi, si trova supporto per la concezione fenomenologica dell'autocoscienza pre-riflessiva.chi ha sostenuto che esiste una varietà di forme di autocoscienza non concettuali che sono "logicamente e ontogeneticamente più primitive delle forme superiori di autocoscienza che di solito sono al centro del dibattito filosofico" (1998, 274; vedi anche Poellner 2003) e Uriah Kriegel (2009) che ha difeso l'esistenza di un tipo di autocoscienza intrinseca e inerente alla coscienza fenomenica. Attraverso una varietà di studi filosofici, quindi, si trova supporto per la concezione fenomenologica dell'autocoscienza pre-riflessiva.chi ha sostenuto che esiste una varietà di forme di autocoscienza non concettuali che sono "logicamente e ontogeneticamente più primitive delle forme superiori di autocoscienza che di solito sono al centro del dibattito filosofico" (1998, 274; vedi anche Poellner 2003) e Uriah Kriegel (2009) che ha difeso l'esistenza di un tipo di autocoscienza intrinseca e inerente alla coscienza fenomenica. Attraverso una varietà di studi filosofici, quindi, si trova supporto per la concezione fenomenologica dell'autocoscienza pre-riflessiva. Attraverso una varietà di studi filosofici, quindi, si trova supporto per la concezione fenomenologica dell'autocoscienza pre-riflessiva. Attraverso una varietà di studi filosofici, quindi, si trova supporto per la concezione fenomenologica dell'autocoscienza pre-riflessiva.

Quell'autocoscienza pre-riflessiva è implicita, quindi, significa che non mi trovo di fronte a una consapevolezza tematica o esplicita dell'esperienza come appartenente a me stesso. Piuttosto abbiamo a che fare con una conoscenza di sé non osservativa. Ecco come Heidegger e Sartre sottolineano:

Dasein [esistenza umana] come esistente, è lì per se stesso, anche quando l'ego non si dirige espressamente a se stesso nel modo in cui il suo peculiare si gira e torna indietro, che in fenomenologia è chiamato percezione interiore in contrasto con l'esterno. L'io è lì per il Dasein stesso senza riflessione e senza percezione interiore, prima di ogni riflessione. La riflessione, nel senso di tornare indietro, è solo una modalità di auto-comprensione, ma non la modalità di auto-divulgazione primaria (Heidegger 1989, 226 [1982, 159]).

In altre parole, ogni coscienza posizionale di un oggetto è allo stesso tempo una coscienza non posizionale di se stessa. Se conto le sigarette che sono in quel caso, ho l'impressione di rivelare una proprietà oggettiva di questa collezione di sigarette: sono una dozzina. Questa proprietà appare alla mia coscienza come una proprietà esistente nel mondo. È molto possibile che non abbia la coscienza posizionale di contarli. Quindi non mi conosco come un conteggio. Eppure nel momento in cui queste sigarette mi vengono rivelate come una dozzina, ho una coscienza non tetica della mia aggiunta di attività. Se qualcuno mi ha interrogato, anzi, se qualcuno dovesse chiedere: "Cosa ci fai lì?" Dovrei rispondere subito, "Sto contando". (Sartre 1943, 19–20 [1956, liii]).

Potrebbe essere chiarificante confrontare la nozione fenomenologica di autocoscienza pre-riflessiva con quella difesa da Brentano. Secondo Brentano mentre ascolto una melodia, sono consapevole di ascoltare la melodia. Riconosce che non ho due diversi stati mentali: la mia coscienza della melodia è la stessa della mia consapevolezza di percepirla; costituiscono un singolo fenomeno psichico. Su questo punto, e in opposizione alle teorie della rappresentazione di ordine superiore, Brentano e i fenomenologi concordano in generale. Ma per Brentano, per mezzo di questo stato mentale unificato, ho una consapevolezza di due oggetti: la melodia e la mia esperienza percettiva.

Nello stesso fenomeno mentale in cui il suono è presente nelle nostre menti, comprendiamo contemporaneamente il fenomeno mentale stesso. Inoltre, lo apprendiamo secondo la sua duplice natura nella misura in cui ha il suono come contenuto al suo interno e nella misura in cui ha se stesso come contenuto allo stesso tempo. Possiamo dire che il suono è l'oggetto principale dell'atto dell'udito e che l'atto dell'ascolto stesso è l'oggetto secondario (Brentano 1874, 179–180 [1973, 127–128]).

Husserl non è d'accordo su questo punto, così come Sartre e Heidegger: la mia consapevolezza della mia esperienza non è la consapevolezza di essa come oggetto. [2]La mia consapevolezza è non oggettivante, nel senso che non occupo la posizione o la prospettiva di uno spettatore o in (tro) spettore che assiste a questa esperienza in modo tematico. Che uno stato psicologico sia vissuto, "ed è in questo senso consapevole, non significa e non può significare che questo è l'oggetto di un atto di coscienza, nel senso che una percezione, una presentazione o un giudizio sono diretti su di esso" (Husserl 1984a, 165 [2001, I, 273]). Nell'autocoscienza pre-riflessiva, l'esperienza viene data non come oggetto, ma precisamente come esperienza soggettiva. Per i fenomenologi, l'esperienza intenzionale viene vissuta (erlebt), ma non appare in modo oggettivato. L'esperienza è consapevole di se stessa senza essere l'oggetto intenzionale della coscienza (Husserl 1984b, 399; Sartre 1936, 28–29). Che siamo consapevoli delle nostre esperienze vissute anche se non dirigiamo la nostra attenzione verso di esse non è negare che possiamo dirigere la nostra attenzione verso le nostre esperienze, e quindi prenderle come oggetti di riflessione (Husserl 1984b, 424).

Essere autocoscienti non è catturare un sé o un oggetto personale puro che esiste separatamente dal flusso dell'esperienza, ma piuttosto essere consapevoli dell'esperienza propria nel suo intrinseco modo di dare in prima persona. Quando Hume, in un famoso brano di A Treatise of Human Nature (1739), dichiara di non poter trovare un sé quando cerca le sue esperienze, ma trova solo percezioni o sentimenti particolari, si potrebbe sostenere che trascura qualcosa nella sua analisi, vale a dire la specificità delle proprie esperienze. In effetti, stava solo guardando tra le sue esperienze e apparentemente le riconosceva come sue, e poteva farlo solo sulla base di quella consapevolezza di sé immediata che sembrava mancare. Come dice CO Evans: "[F] dal fatto che il sé non è un oggetto dell'esperienza, non ne consegue che sia non esperienziale" (Evans 1970,145). Di conseguenza, non dovremmo pensare all'io, in questo senso basilare, come una sostanza, o come una sorta di ineffabile precondizione trascendentale, o come un costrutto sociale che si genera nel tempo; piuttosto è un aspetto integrale della vita cosciente e coinvolge questo carattere esperienziale immediato.

Un vantaggio della visione fenomenologica è che è in grado di rendere conto di un certo grado di unità diacronica, senza in realtà dover posizionare il sé come entità separata al di sopra e al di sopra del flusso di coscienza (vedere la discussione sulla coscienza del tempo nella Sezione 3 di seguito). Sebbene viviamo una serie di esperienze diverse, l'esperienza stessa rimane una costante rispetto alla cui esperienza è. Ciò non è giustificato da un sé sostanziale o da un teatro mentale. Su questo punto Hume aveva ragione. Non esiste un campo di coscienza puro o vuoto su cui le esperienze concrete successivamente fanno il loro ingresso. Il campo dell'esperienza non è altro che le esperienze specifiche. Eppure siamo naturalmente inclini a distinguere la rigorosa singolarità di un'esperienza dal flusso continuo di esperienze mutevoli. Ciò che rimane costante e coerente attraverso questi cambiamenti è il senso di per me (o proprietà prospettica) costituito dalla consapevolezza di sé pre-riflessiva. Solo un essere con questo senso di proprietà può continuare a formare concetti su se stessa, considerare i propri obiettivi, ideali e aspirazioni come propri, costruire storie su se stessa e pianificare ed eseguire azioni per le quali si assumerà la responsabilità.

2. Questioni filosofiche e obiezioni

Il concetto di autocoscienza pre-riflessiva è legato a una varietà di questioni filosofiche, tra cui l'asimmetria epistemica, l'immunità all'errore attraverso l'identificazione errata e l'auto-riferimento. Esamineremo questi problemi ciascuno a turno.

Sembra chiaro che gli oggetti della mia percezione visiva sono intersoggettivamente accessibili, nel senso che possono in linea di principio essere gli oggetti della percezione di un altro. L'esperienza percettiva stessa di un soggetto, tuttavia, è data in modo unico al soggetto stesso. Sebbene due persone, A e B, possano percepire un oggetto numericamente identico, ognuna ha la propria esperienza percettiva distinta di esso; così come non possono condividere il dolore reciproco, non possono letteralmente condividere queste esperienze percettive. Le loro esperienze sono epistemicamente asimmetriche in questo senso. B potrebbe rendersi conto che A sta soffrendo; potrebbe simpatizzare con A, potrebbe persino avere lo stesso tipo di dolore (stessi aspetti qualitativi, stessa intensità, stessa posizione propriocettiva), ma non può letteralmente sentire il dolore di A allo stesso modo di A. L'accesso epistemico del soggetto alla propria esperienza, sia essa un'esperienza dolorosa o percettiva, è principalmente una questione di autocoscienza pre-riflessiva. Se secondariamente, in un atto di riflessione introspettiva, comincio a esaminare la mia esperienza percettiva, la riconoscerò come mia esperienza percettiva solo perché ne sono stata consapevole in anticipo, riflettendomi su di essa, poiché ho vissuto attraverso di essa. Pertanto, sostiene la fenomenologia, l'accesso che l'autocoscienza riflessiva deve avere all'esperienza fenomenica di primo ordine viene instradato attraverso la coscienza pre-riflessiva, poiché se non fossimo consapevoli pre-riflessivamente della nostra esperienza, la nostra riflessione su di essa non sarebbe mai motivata. Quando rifletto, rifletto su qualcosa con cui ho già familiarità esperienziale.è principalmente una questione di autocoscienza pre-riflessiva. Se secondariamente, in un atto di riflessione introspettiva, comincio a esaminare la mia esperienza percettiva, la riconoscerò come mia esperienza percettiva solo perché ne sono stata consapevole in anticipo, riflettendomi su di essa, poiché ho vissuto attraverso di essa. Pertanto, sostiene la fenomenologia, l'accesso che l'autocoscienza riflessiva deve avere all'esperienza fenomenica di primo ordine viene instradato attraverso la coscienza pre-riflessiva, poiché se non fossimo consapevoli pre-riflessivamente della nostra esperienza, la nostra riflessione su di essa non sarebbe mai motivata. Quando rifletto, rifletto su qualcosa con cui ho già familiarità esperienziale.è principalmente una questione di autocoscienza pre-riflessiva. Se secondariamente, in un atto di riflessione introspettiva, comincio a esaminare la mia esperienza percettiva, la riconoscerò come mia esperienza percettiva solo perché ne sono stata consapevole in anticipo, riflettendomi su di essa, poiché ho vissuto attraverso di essa. Pertanto, sostiene la fenomenologia, l'accesso che l'autocoscienza riflessiva deve avere all'esperienza fenomenica di primo ordine viene instradato attraverso la coscienza pre-riflessiva, poiché se non fossimo consapevoli pre-riflessivamente della nostra esperienza, la nostra riflessione su di essa non sarebbe mai motivata. Quando rifletto, rifletto su qualcosa con cui ho già familiarità esperienziale. La riconoscerò come la mia esperienza percettiva solo perché ne sono stata consapevole in anticipo, riflettendomi su di essa. Pertanto, sostiene la fenomenologia, l'accesso che l'autocoscienza riflessiva deve avere all'esperienza fenomenica di primo ordine viene instradato attraverso la coscienza pre-riflessiva, poiché se non fossimo consapevoli pre-riflessivamente della nostra esperienza, la nostra riflessione su di essa non sarebbe mai motivata. Quando rifletto, rifletto su qualcosa con cui ho già familiarità esperienziale. La riconoscerò come la mia esperienza percettiva solo perché ne sono stata consapevole in anticipo, riflettendomi su di essa. Pertanto, sostiene la fenomenologia, l'accesso che l'autocoscienza riflessiva deve avere all'esperienza fenomenica di primo ordine viene instradato attraverso la coscienza pre-riflessiva, poiché se non fossimo consapevoli pre-riflessivamente della nostra esperienza, la nostra riflessione su di essa non sarebbe mai motivata. Quando rifletto, rifletto su qualcosa con cui ho già familiarità esperienziale. Rifletto su qualcosa con cui ho già familiarità esperienziale. Rifletto su qualcosa con cui ho già familiarità esperienziale.

La facilità con cui noi auto-attribuiamo le esperienze è parzialmente spiegata dall'appello all'autocoscienza pre-riflessiva. È importante sottolineare, tuttavia, che l'autocoscienza pre-riflessiva è solo una condizione necessaria e non sufficiente per l'auto-attribuzione riflessiva e la conoscenza in prima persona. Molti animali che possiedono autocoscienza pre-riflessiva ovviamente mancano delle risorse cognitive necessarie per l'auto-attribuzione riflessiva.

Quando provo un dolore, una percezione o un pensiero occulti, l'esperienza in questione viene data immediatamente e non inferenzialmente. Non devo giudicare o fare appello ad alcuni criteri per identificarlo come mia esperienza. Non ci sono esperienze fluttuanti; anche l'esperienza di fluttuare liberamente appartiene a qualcuno. Come diceva William James (1890), tutta l'esperienza è "personale". Anche in casi patologici, come nella depersonalizzazione o nei sintomi schizofrenici di delusioni di controllo o inserimento del pensiero, un sentimento o un'esperienza che il soggetto afferma di non essere suo viene comunque vissuto da lui come parte del suo flusso di coscienza. La lamentela dell'inserimento del pensiero, ad esempio, riconosce necessariamente che i pensieri inseriti sono pensieri che appartengono all'esperienza del soggetto,anche se l'agenzia per tali pensieri è attribuita ad altri. Questo personaggio in prima persona implica un autoreferenziale riferimento esperienziale implicito. Se ho fame o vedo il mio amico, non posso sbagliarmi su chi sia il soggetto di quell'esperienza, anche se posso sbagliarmi sulla sua fame (forse è davvero sete), o sul fatto che sia mio amico (forse è il suo gemello), o anche se lo sto effettivamente vedendo (potrei essere allucinante). Come hanno sottolineato Wittgenstein (1958), Shoemaker (1968) e altri, non ha senso chiedersi se sono sicuro di essere affamato. Questo è il fenomeno noto come "immunità all'errore attraverso l'identificazione errata rispetto al pronome in prima persona". A questa idea di immunità all'errore attraverso un'identificazione errata, il fenomenologo aggiunge che se una certa esperienza è vissuta come la mia,o no, non dipende da qualcosa di diverso dall'esperienza, ma dipende proprio dalla durezza pre-riflessiva che appartiene alla struttura dell'esperienza (Husserl 1959, 175; Husserl 1973a, 28, 56, 307, 443; vedi Zahavi 1999, 6 e seguenti).

Alcuni filosofi che sono inclini a considerare l'autocoscienza intrinsecamente legata alla questione dell'autoreferenzialità sostengono che quest'ultimo dipenda da un concetto in prima persona. Si raggiunge l'autocoscienza solo quando si può concepire se stessi come se stessi e si ha la capacità linguistica di usare il pronome in prima persona per riferirsi a se stessi (Baker 2000, 68; cfr. Lowe 2000, 264). Da questo punto di vista, l'autocoscienza è qualcosa che emerge nel corso di un processo di sviluppo e dipende dall'acquisizione di concetti e linguaggio. Di conseguenza, alcuni filosofi negano che i bambini piccoli siano capaci di autocoscienza (Carruthers 1996; Dennett 1976; Wilkes 1988; vedi anche Flavell 1993). Le prove della psicologia dello sviluppo e della psicologia ecologica, tuttavia, suggeriscono che esiste un primitivo,forma propriocettiva di autocoscienza già in atto dalla nascita.[3] Questa auto-consapevolezza primitiva precede la padronanza del linguaggio e la capacità di formare giudizi concettualmente informati e può servire da base per tipi più avanzati di autocoscienza (vedi, ad esempio, Butterworth 1995, 1999; Gibson 1986; Meltzoff 1990a, 1990b; Neisser 1988; e Stern 1985). La visione fenomenologica è coerente con tali risultati.

La nozione di autocoscienza pre-riflessiva è molto più accettata oggi rispetto a 20 anni fa ed è diventata parte del repertorio standard nella filosofia della mente. La crescente popolarità della nozione non sorprendentemente ha anche portato a una crescente quantità di critiche. Una linea di attacco si è concentrata su quella che potrebbe essere chiamata la domanda di universalità. È davvero vero che tutti gli stati mentali coscienti implicano autocoscienza pre-riflessiva, per me e un senso di appartenenza? Il legame tiene per necessità tale da caratterizzare tutte le esperienze, per quanto primitive o disordinate possano essere, o potrebbe, per esempio, essere qualcosa che vale solo per un gruppo più limitato di esperienze, diciamo normali, esperienze per adulti (Lane 2012; Dainton 2016; Guillot 2017; Howell & Thompson 2017). Che le esperienze infantili o patologiche o allucinogene costituiscano eccezioni rilevanti, vale a dire esperienze che mancano di autocoscienza pre-riflessiva, per me e senso di proprietà, dipende in larga misura da quanto fortemente si interpretano queste nozioni. Se l'autocoscienza pre-riflessiva viene interpretata semplicemente come una consapevolezza non inferenziale dell'esperienza che si sta vivendo piuttosto che come consapevolezza di un qualche auto-oggetto, e se la per-me-senso e il senso di proprietà vengono interpretati non come un coinvolgimento di un consapevolezza della relazione possessiva tra se stessi e l'esperienza, ma piuttosto come la distinta sensibilità prospettica o la presenza dell'esperienza in prima persona, è tutt'altro che ovvio che ci sono davvero delle eccezioni da trovare (Zahavi 2014, 2018, 2019). Alcuni critici hanno anche affermato che il senso di proprietà è un sottoprodotto di processi riflessivi o introspettivi (ad esempio, Bermúdez 2011; 2018; Dainton 2007). Insistono sul fatto che non c'è niente come un senso di proprietà pre-riflessivo che è "qualcosa che va al di là del flusso mutevole di pensiero, percezione, volizione, emozione, memoria, sensazione corporea e così via" (Dainton 2007, 240; enfasi aggiunta). Ma come dovrebbe già essere chiaro, i fenomenologi non sostengono che l'autocoscienza pre-riflessiva o il senso di proprietà siano qualcosa di “al di sopra e al di sopra” dell'esperienza, qualcosa in più che viene aggiunto come seconda esperienza. Piuttosto, l'affermazione è che si tratta di una caratteristica intrinseca dell'esperienza stessa. A questo proposito, l'affermazione fenomenologica è tanto deflazionistica quanto la critica vorrebbe (Gallagher 2017a).2018; Dainton 2007). Insistono sul fatto che non c'è niente come un senso di proprietà pre-riflessivo che è "qualcosa che va al di là del flusso mutevole di pensiero, percezione, volizione, emozione, memoria, sensazione corporea e così via" (Dainton 2007, 240; enfasi aggiunta). Ma come dovrebbe già essere chiaro, i fenomenologi non sostengono che l'autocoscienza pre-riflessiva o il senso di proprietà siano qualcosa di “al di sopra e al di sopra” dell'esperienza, qualcosa in più che viene aggiunto come seconda esperienza. Piuttosto, l'affermazione è che si tratta di una caratteristica intrinseca dell'esperienza stessa. A questo proposito, l'affermazione fenomenologica è tanto deflazionistica quanto la critica vorrebbe (Gallagher 2017a).2018; Dainton 2007). Insistono sul fatto che non c'è niente come un senso di proprietà pre-riflessivo che è "qualcosa che va al di là del flusso mutevole di pensiero, percezione, volizione, emozione, memoria, sensazione corporea e così via" (Dainton 2007, 240; enfasi aggiunta). Ma come dovrebbe già essere chiaro, i fenomenologi non sostengono che l'autocoscienza pre-riflessiva o il senso di proprietà siano qualcosa di “al di sopra e al di sopra” dell'esperienza, qualcosa in più che viene aggiunto come seconda esperienza. Piuttosto, l'affermazione è che si tratta di una caratteristica intrinseca dell'esperienza stessa. A questo proposito, l'affermazione fenomenologica è tanto deflazionistica quanto la critica vorrebbe (Gallagher 2017a).emozione, memoria, sensazione corporea e così via”(Dainton 2007, 240; enfasi aggiunta). Ma come dovrebbe già essere chiaro, i fenomenologi non sostengono che l'autocoscienza pre-riflessiva o il senso di proprietà siano qualcosa di “al di sopra e al di sopra” dell'esperienza, qualcosa in più che viene aggiunto come seconda esperienza. Piuttosto, l'affermazione è che si tratta di una caratteristica intrinseca dell'esperienza stessa. A questo proposito, l'affermazione fenomenologica è tanto deflazionistica quanto la critica vorrebbe (Gallagher 2017a).emozione, memoria, sensazione corporea e così via”(Dainton 2007, 240; enfasi aggiunta). Ma come dovrebbe già essere chiaro, i fenomenologi non sostengono che l'autocoscienza pre-riflessiva o il senso di proprietà siano qualcosa di “al di sopra e al di sopra” dell'esperienza, qualcosa in più che viene aggiunto come seconda esperienza. Piuttosto, l'affermazione è che si tratta di una caratteristica intrinseca dell'esperienza stessa. A questo proposito, l'affermazione fenomenologica è tanto deflazionistica quanto la critica vorrebbe (Gallagher 2017a). A questo proposito, l'affermazione fenomenologica è tanto deflazionistica quanto la critica vorrebbe (Gallagher 2017a). A questo proposito, l'affermazione fenomenologica è tanto deflazionistica quanto la critica vorrebbe (Gallagher 2017a).

3. Temporalità e limiti dell'autocoscienza riflessiva

Sebbene, in quanto auto-consapevole della mia esperienza, non ne sono inconsapevole, non mi prendo cura di essa; piuttosto tendo a trascurarlo a favore dell'oggetto che sto percependo, della cosa che ricordo, ecc. Nella mia vita di tutti i giorni, sono assorbito e preoccupato da progetti e oggetti nel mondo, e come tale non frequento alla mia vita esperienziale. Pertanto, questa pervasiva autocoscienza pre-riflessiva non deve essere intesa come completa comprensione di sé. Si può accettare la nozione di autocosciente pervasiva e accettare ancora l'esistenza dell'inconscio nel senso di componenti soggettive che rimangono ambigue, oscure e resistenti alla comprensione. Così,si dovrebbe distinguere tra l'affermazione che la coscienza è caratterizzata da un carattere in prima persona immediato e l'affermazione che la coscienza è caratterizzata da totale auto-trasparenza. Si può facilmente accettare il primo e rifiutare il secondo (Ricoeur 1950, 354–355).

Contrariamente all'autocoscienza pre-riflessiva, che fornisce un senso implicito di sé a livello esperienziale o fenomenico, l'autocoscienza riflessiva è una consapevolezza esplicita, concettuale e oggettivante che prende una coscienza di ordine inferiore come tema attenzionale. Sono in grado in qualsiasi momento di occuparmi direttamente dell'esperienza cognitiva stessa, trasformando la mia esperienza stessa nell'oggetto della mia considerazione.

I fenomenologi non rivendicano l'autorità infallibile di riflessione sull'esperienza soggettiva. Non ci sono garanzie epistemiche connesse all'autocoscienza se non l'immunità all'errore attraverso l'identificazione errata. Se non posso sbagliarmi su chi sta vivendo le mie esperienze, posso sbagliarmi su tutti i tipi di altre cose sulle mie esperienze. Una breve considerazione della fenomenologia della temporalità aiuterà a spiegare questo, vale a dire, perché l'autocoscienza riflessiva è caratterizzata da alcuni limiti. Aiuterà anche a chiarire come l'autocoscienza pre-riflessiva, come modalità di esistenza, è possibile in primo luogo, oltre a chiarire il resoconto fenomenologico dell'unità diacronica, un resoconto che non sostiene qualcosa chiamato "io" come entità separata al di sopra e al di sopra del flusso di coscienza (cfr Zahavi 2014).

Secondo l'analisi di Husserl, l'esperienza di qualsiasi tipo (percezione, memoria, immaginazione, ecc.) Ha una struttura temporale comune tale che ogni momento dell'esperienza contiene un riferimento conservativo ai momenti passati dell'esperienza, un'apertura attuale (impressione primaria) a ciò che è presente e un'anticipazione protettiva dei momenti di esperienza che stanno per accadere (Husserl 1966; vedi Gallagher 1998). La struttura di conservazione dell'esperienza, cioè il fatto che quando sto sperimentando qualcosa, ogni momento di coscienza che passa non scompare semplicemente nel momento successivo ma è mantenuto in una valuta intenzionale, costituisce una coerenza che si estende per una durata temporale vissuta. L'esempio preferito di Husserl è una melodia. Quando provo una melodia, non provo semplicemente una presentazione a coltello (impressione primordiale) di una nota,che viene quindi completamente lavato via e sostituito con la successiva presentazione discreta della nota successiva. Piuttosto, la coscienza conserva il senso della prima nota come appena passato, mentre ascolto la seconda nota, un'audizione che è anche arricchita da un'anticipazione (protezione) della nota successiva (o almeno, nel caso in cui non conosca la melodia, la sensazione che ci sarà una prossima nota o un prossimo evento uditivo). Husserl afferma che in realtà percepiamo le melodie, in opposizione a una visione precedente proposta da Brentano, vale a dire che con l'aiuto della nostra immaginazione o ricordo costruiamo o ricostruiamo tali unità da una sintesi di atti mentali. Che noi percepiamo effettivamente le melodie (senza prima costruirle usando la memoria e l'immaginazione) è possibile solo perché la coscienza è così strutturata da consentire questa presentazione temporale.

È importante sottolineare che la struttura temporale della coscienza (ritenzione-impressione-protettiva) non solo consente l'esperienza di oggetti temporalmente estesi o contenuti intenzionali, ma comporta anche l'auto-manifestazione della coscienza, cioè la sua auto-consapevolezza pre-riflessiva. La conservazione delle note passate della melodia si realizza, non mediante una re-presentazione “reale” o letterale delle note (come se le stessi ascoltando una seconda volta e contemporaneamente alla nota corrente), ma da una conservazione intenzionale della mia appena passata esperienza della melodia come appena passata. Ciò significa che questa struttura di conservazione mi dà una consapevolezza immediata della mia esperienza in corso nel flusso continuo di esperienza, una consapevolezza di sé che è implicita nella mia esperienza dell'oggetto. Allo stesso tempo, sono a conoscenza di una melodia, ad esempio,Sono consapevole della mia continua esperienza della melodia attraverso la struttura di conservazione di quella stessa esperienza, e questa è solo l'autocoscienza pre-riflessiva dell'esperienza (vedi Zahavi 1999, 2003).

La struttura temporale che spiega l'autocoscienza pre-riflessiva è anche la caratteristica strutturale che tiene conto dei limiti imposti all'autocoscienza riflessiva. L'autocoscienza riflessiva fornisce la conoscenza della soggettività pre-riflessiva che è sempre dopo il fatto. L'autocoscienza riflessiva, che considera l'esperienza pre-riflessiva come oggetto, è essa stessa (come ogni esperienza cosciente) caratterizzata dalla stessa struttura temporale. In linea di principio, tuttavia, la struttura di riflessione ritenzione-impressione-protettiva non può sovrapporsi alla struttura di conservazione-impressione-protezione dell'esperienza pre-riflessiva in completa simultaneità. C'è sempre un leggero ritardo tra la riflessione e l'oggetto pre-riflettente della riflessione. Si potrebbe dire che l'esperienza pre-riflessiva deve essere prima presente se devo rivolgere la mia attenzione riflessiva ad essa e renderla un oggetto di riflessione. Husserl scrive: “Quando dico io, mi afferro in una semplice riflessione. Ma questa esperienza di sé [Selbsterfahrung] è come ogni esperienza [Erfahrung], e in particolare ogni percezione, un semplice orientamento verso qualcosa che era già lì per me, che era già cosciente, ma non sperimentato tematicamente, non notato”(Husserl 1973b, 492–493). Questo ritardo è uno dei motivi per cui permane una differenza o distanza tra il soggetto riflettente e l'oggetto riflesso, anche se l'oggetto riflesso è la mia esperienza. Come soggetto riflessivo, non coincido mai completamente con me stesso. Mi afferro in un semplice riflesso. Ma questa esperienza di sé [Selbsterfahrung] è come ogni esperienza [Erfahrung], e in particolare ogni percezione, un semplice orientamento verso qualcosa che era già lì per me, che era già cosciente, ma non sperimentato tematicamente, non notato”(Husserl 1973b, 492–493). Questo ritardo è uno dei motivi per cui permane una differenza o distanza tra il soggetto riflettente e l'oggetto riflesso, anche se l'oggetto riflesso è la mia esperienza. Come soggetto riflessivo, non coincido mai completamente con me stesso. Mi afferro in un semplice riflesso. Ma questa esperienza di sé [Selbsterfahrung] è come ogni esperienza [Erfahrung], e in particolare ogni percezione, un semplice orientamento verso qualcosa che era già lì per me, che era già cosciente, ma non sperimentato tematicamente, non notato”(Husserl 1973b, 492–493). Questo ritardo è uno dei motivi per cui permane una differenza o distanza tra il soggetto riflettente e l'oggetto riflesso, anche se l'oggetto riflesso è la mia esperienza. Come soggetto riflessivo, non coincido mai completamente con me stesso.ma non sperimentato tematicamente, non notato”(Husserl 1973b, 492-493). Questo ritardo è uno dei motivi per cui permane una differenza o distanza tra il soggetto riflettente e l'oggetto riflesso, anche se l'oggetto riflesso è la mia esperienza. Come soggetto riflessivo, non coincido mai completamente con me stesso.ma non sperimentato tematicamente, non notato”(Husserl 1973b, 492-493). Questo ritardo è uno dei motivi per cui permane una differenza o distanza tra il soggetto riflettente e l'oggetto riflesso, anche se l'oggetto riflesso è la mia esperienza. Come soggetto riflessivo, non coincido mai completamente con me stesso.

Come dice Merleau-Ponty, la nostra esistenza temporale è sia una condizione che un ostacolo alla nostra comprensione di sé. La temporalità contiene una frattura interna che ci consente di ritornare alle nostre esperienze passate per investigarle in modo riflessivo, ma questa stessa frattura ci impedisce anche di coincidere pienamente con noi stessi. Rimarrà sempre una differenza tra il vissuto e il capito (Merleau-Ponty 1945, 76, 397, 399, 460). L'autocoscienza ci dà la sensazione che siamo sempre in gioco. Questo porta alcuni fenomenologi a notare che siamo nati (o "gettati" nel mondo) e non auto-generati. Siamo coinvolti in una vita che supera la nostra piena comprensione (Heidegger 1986). C'è sempre qualcosa in noi stessi che non possiamo catturare completamente nel momento della riflessione autocosciente.

Se l'autocoscienza riflessiva è limitata in questo modo, ciò non dovrebbe impedirci di esercitarla. In effetti, l'autocoscienza riflessiva è una condizione necessaria per l'autocoscienza morale, come sottolinea Husserl. La riflessione è una condizione preliminare per la deliberazione autocritica. Se vogliamo sottoporre le nostre diverse credenze e desideri a una valutazione critica e normativa, non è sufficiente semplicemente avere un accesso diretto e personale agli stati in questione.

Prendiamo come punto di partenza l'essenziale capacità di autocoscienza nel pieno senso di autoispezione personale (inspectio sui) e l'abilità che si basa su questo per assumere posizioni che sono riflesse in modo riflessivo su se stessi e sulla propria la vita, su atti personali di conoscenza di sé, autovalutazione e atti pratici di autodeterminazione, autoconsapevolezza e auto formazione. (Husserl 1988, 23).

L'autocoscienza non è quindi epifenomenale. La nostra capacità di esprimere giudizi riflessivi sulle nostre credenze e desideri ci consente anche di modificarli.

Si potrebbe vedere la posizione di Husserl, Sartre e Merleau-Ponty come situata tra due estremi. Da un lato, riteniamo che la riflessione semplicemente copi o rispecchi fedelmente l'esperienza pre-riflessiva e, dall'altro, abbiamo l'opinione che la riflessione distorca l'esperienza vissuta. La via di mezzo è riconoscere che la riflessione comporta un guadagno e una perdita. Per Husserl, Sartre e Merleau-Ponty, la riflessione è limitata da ciò che viene vissuto in modo pre-riflessivo. È responsabile di fatti esperienziali e non è auto-realisticamente costitutivo. Allo stesso tempo, tuttavia, hanno riconosciuto che la riflessione come esperienza di sé tematica non riproduce semplicemente le esperienze vissute inalterate e che questo è precisamente ciò che rende la riflessione cognitivamente preziosa. Le esperienze su cui si riflettono si trasformano nel processo,a vari gradi e maniere a seconda del tipo di riflessione sul lavoro. Di conseguenza, la soggettività sembra essere costituita in modo tale da poter e, a volte, relazionarsi con se stessa in modo "diverso". Questa auto-alterazione è qualcosa inerente alla riflessione; non è qualcosa che la riflessione può superare.

4. Autocoscienza corporea

Gran parte di ciò che abbiamo detto sull'autocoscienza può ancora sembrare eccessivamente mentalistico. È importante notare che per fenomenologi come Husserl e Merleau-Ponty, l'autocoscienza pre-riflessiva è sia incarnata che incorporata nel mondo. Il punto di vista in prima persona sul mondo non è mai una vista dal nulla; è sempre definito dalla situazione del corpo del percettore, che riguarda non solo la posizione e la postura, ma l'azione in contesti pragmatici e l'interazione con altre persone. L'auto-consapevolezza pre-riflessiva include aspetti che sono sia corporei che intersoggettivi.

L'affermazione non è semplicemente che il percettore / attore è oggettivamente incorporato, ma che il corpo è in qualche modo presente esperienzialmente nella percezione o nell'azione. I fenomenologi distinguono la consapevolezza pre-riflessiva del corpo che accompagna e modella ogni esperienza spaziale, da una coscienza riflessiva del corpo. Per cogliere questa differenza, Husserl ha introdotto una distinzione terminologica tra Leib e Körper, vale a dire tra il corpo pre-riflettente vissuto, cioè il corpo come una prospettiva in prima persona incarnata e la successiva esperienza tematica del corpo come oggetto (Husserl 1973a, 57). La consapevolezza del corpo pre-riflessivo (Leib -) non è un tipo di percezione dell'oggetto, ma è un elemento essenziale di ogni percezione del genere. Se cerco uno strumento, so dove raggiungere perché ho la sensazione di dove si trova rispetto a me stesso. Sento anche che sarò in grado di raggiungerlo o che dovrò fare due passi verso di esso. La mia percezione dello strumento deve comportare informazioni propriocettive e cinestesiche sulla mia situazione corporea e sulla posizione degli arti, altrimenti non sarei in grado di raggiungerlo o usarlo. Se in tali casi, vogliamo dire che ho una consapevolezza del mio corpo, tale consapevolezza corporea è abbastanza diversa dalla percezione che ho dello strumento. Potrei dover guardare o sentirmi in giro per trovare dove si trova lo strumento; ma, in circostanze normali, non devo mai farlo per quanto riguarda il mio corpo. Sono tacitamente consapevole, non solo di dove sono le mie mani e piedi, ma anche di cosa posso farci. Questa tacita consapevolezza del mio corpo si registra sempre come "posso" (o "non posso", a seconda dei casi). In primo luogo, il mio corpo è vissuto, non come un oggetto,ma come campo di attività e affettività, come potenzialità di mobilità e volontà, come "Io faccio" e "Posso".

Il corpo fornisce non solo la struttura spaziale egocentrica per l'orientamento verso il mondo, ma anche il contributo costitutivo della sua mobilità. La percezione non implica una ricezione passiva, ma un'esplorazione attiva dell'ambiente. Husserl richiama l'attenzione sull'importanza dei movimenti corporei (i movimenti dell'occhio, le manipolazioni della mano, la locomozione del corpo, ecc.) Per l'esperienza dello spazio e degli oggetti spaziali. Afferma inoltre che la percezione è correlata e accompagnata dall'auto-sensazione propriocettiva-cinestetica o dall'auto-affetto (Husserl 1973c). Ogni aspetto visivo o tattile è dato in correlazione con un'esperienza cinestetica. Quando tocco una superficie sagomata, viene dato in combinazione con una sensazione di movimenti delle dita. Quando guardo il volo di un uccello,l'uccello in movimento viene somministrato in combinazione con le sensazioni cinestetiche del movimento degli occhi e forse del movimento del collo. Tale attivazione cinestesica durante la percezione produce un riferimento implicito e pervasivo al proprio corpo. L'autocoscienza implicita dei movimenti effettivi e possibili del mio corpo aiuta a modellare l'esperienza che ho del mondo. Per essere chiari, tuttavia, l'autocoscienza corporale non è una consapevolezza del corpo isolata dal mondo; è incorporato nell'azione e nella percezione. Non prendiamo prima coscienza del corpo e successivamente lo usiamo per interagire con il mondo. Sperimentiamo il mondo corporeo e il corpo ci viene rivelato nella nostra esplorazione del mondo. In primo luogo, il corpo raggiunge l'autocoscienza nell'azione (o nelle nostre disposizioni per l'azione, o nelle nostre possibilità di azione) quando si riferisce a qualcosa, usa qualcosa,o si muove attraverso il mondo.[4]

L'autocoscienza corporale, come l'autocoscienza più in generale, ha dei limiti. Non sono mai pienamente consapevole di tutto ciò che accade nel mio corpo. In effetti, il mio corpo tende a cancellare se stesso mentre percepisco e agisco nel mondo. Quando salto per prendere una palla che viene lanciata sopra la mia testa, ho certamente la sensazione di cosa posso fare, ma non sono consapevole dei miei movimenti o posture precisi, ad esempio che la gamba destra si piega a una certa angolazione come Raggiungo con la mano sinistra. Posso eseguire movimenti senza esserne esplicitamente consapevole, e anche ciò di cui sono tacitamente consapevole è alquanto limitato, ad esempio non sono consapevole della forma della mia presa mentre allungo la mano per afferrare la palla. Anche se potrei non essere consapevole di alcuni dettagli sulla mia prestazione corporea, ciò non significa tuttavia che sono incosciente del mio corpo. Piuttosto significa che il modo in cui sono consapevole del mio corpo è pienamente integrato con l'azione intenzionale che sto eseguendo. So che sto saltando per prendere la palla, e implicito in ciò, come senso immediato piuttosto che come inferenza, provo il mio corpo che salta per prendere la palla.

Inoltre, gli aspetti esperienziali della mia incarnazione permeano la mia autocoscienza pre-riflessiva. C'è qualcosa che è come saltare per prendere una palla, e parte di ciò che è è che sto effettivamente saltando. C'è qualcosa di diverso in ciò che è come sedersi e immaginare (o ricordare) me stesso che salta per prendere la palla, e almeno parte di quella differenza ha a che fare con il fatto che io sia seduto piuttosto che saltare, anche se nulla sii esplicito nella mia esperienza.

Un altro modo di pensare all'autocoscienza coinvolta nell'azione è quello di considerare il senso di agenzia che è normalmente un aspetto dell'autocoscienza pre-riflessiva nell'azione. Se, mentre cammino per la strada, sono spinto da dietro, sono immediatamente consapevole del mio corpo che si muove in un modo che non intendevo. Il fatto che sento una perdita di controllo sulle mie azioni suggerisce che c'era stato un implicito senso di libero arbitrio o di controllo nel mio cammino prima di essere spinto. Nell'azione volontaria, avverto i movimenti del mio corpo come le mie azioni, e questo è sostituito da una sensazione di perdita del controllo corporeo in caso di movimento involontario. Le azioni volontarie sembrano diverse dalle azioni involontarie e questa differenza dipende rispettivamente,sull'esperienza di agenzia o sull'esperienza di una mancanza di agenzia, a seconda del caso se il mio corpo viene spostato da qualcun altro.[5]

Hubert Dreyfus ha affermato che nel caso di esibizioni di esperti non siamo autocoscienti, ma piuttosto "di solito coinvolti nell'affrontare in modo insensato" (Dreyfus 2007a, 356). Per suo conto, la nostra vita corporea immersa è così completamente e totalmente impegnata nel mondo che è completamente ignara di se stessa. In effetti, in totale assorbimento, si smette di essere un soggetto del tutto (Dreyfus 2007b, 373). È solo quando questo assorbimento corporeo viene interrotto che emerge qualcosa come l'autocoscienza. Di conseguenza Dreyfus non nega l'esistenza dell'autocoscienza, ma vuole sicuramente vederlo come una capacità che viene esercitata o attualizzata solo in occasioni speciali. Inoltre, quando questa capacità viene esercitata, ciò interrompe necessariamente il nostro modo di affrontare e trasforma radicalmente il tipo di vantaggi che le vengono dati (Dreyfus 2005, 61; 2007, 354). Un certo numero di teorici, tuttavia, ha contestato questa caratterizzazione della performance di esperti e ha sostenuto che nelle arti dello spettacolo (ad es. Nella danza, nelle esibizioni musicali) e nell'atletica (ad es. Baseball, cricket) gli esecutori esperti possono impiegare un ancora consapevolezza pre-riflessiva (Legrand 2007), una consapevolezza attenta della situazione (ad esempio, Sutton et al. 2011), o anche un abile monitoraggio riflessivo (Montero 2010; 2014), o una combinazione variabile di questi (Høffding 2018), e che tale consapevolezza non impedisce le prestazioni ma le migliora.cricket) artisti esperti possono utilizzare una consapevolezza migliorata ma ancora riflessiva (Legrand 2007), una consapevolezza attenta della situazione (ad esempio, Sutton et al. 2011) o persino un abile monitoraggio riflessivo (Montero 2010; 2014), o alcuni combinazione variabile di questi (Høffding 2018) e che tale consapevolezza non impedisce le prestazioni ma le migliora.cricket) artisti esperti possono utilizzare una consapevolezza migliorata ma ancora riflessiva (Legrand 2007), una consapevolezza attenta della situazione (ad esempio, Sutton et al. 2011) o persino un abile monitoraggio riflessivo (Montero 2010; 2014), o alcuni combinazione variabile di questi (Høffding 2018) e che tale consapevolezza non impedisce le prestazioni ma le migliora.

5. Forme intersoggettive e sociali di autocoscienza

Un focus sull'esperienza di sé incarnata porta inevitabilmente ad un allargamento decisivo della discussione. L'esternalità dell'incarnazione mette me e le mie azioni nella sfera pubblica. L'autocoscienza, che implica la capacità di esprimere giudizi riflessivi sulle nostre convinzioni e desideri, è sempre modellata dagli altri e da ciò che abbiamo imparato dagli altri. Questa influenza intersoggettiva o sociale può anche influenzare l'autocoscienza pre-riflessiva, incluso il mio senso di incarnazione.

Posso prendere coscienza di me stesso attraverso gli occhi di altre persone e ciò può avvenire in diversi modi. Pertanto, l'incarnazione mette in scena l'intersoggettività e la socialità e attira l'attenzione sulla questione di come determinate forme di autocoscienza siano mediate intersoggettivamente e possano dipendere dalle proprie relazioni sociali con gli altri. La mia consapevolezza di me stesso come una persona tra le altre, una consapevolezza che potrei inquadrare dalla prospettiva degli altri, tentando di vedermi come loro vedono, comporta un cambiamento nell'atteggiamento dell'autocoscienza. All'interno di questo atteggiamento, i giudizi che esprimo su me stesso sono vincolati dalle aspettative sociali e dai valori culturali. Questo tipo di autocoscienza sociale è sempre contestualizzato, mentre cerco di capire come appaio agli altri, sia nel modo in cui guardo, sia nel significato delle mie azioni. Mi trovo in contesti particolari, con capacità e disposizioni specifiche, abitudini e convinzioni, e mi esprimo in un modo che si riflette su altri, in ruoli rilevanti (definiti socialmente) attraverso il mio linguaggio e le mie azioni.

Il ruolo dell'altro in questo modo di autocoscienza non è essenziale. Secondo Husserl, divento consapevole di me stesso specificamente come persona umana solo in tali relazioni intersoggettive (Husserl 1973b, 175; 1952, 204–05; vedi Hart 1992, 71; Zahavi 1999, 157 ss. Vedi anche Taylor 1989, 34–36 per un'idea simile). Così Husserl distingue il soggetto preso nella sua nuda formalità dal soggetto personalizzato e afferma che l'origine e lo status di essere una persona devono trovarsi nella dimensione sociale. Sono una persona, socialmente contestualizzata, con capacità, disposizioni, abitudini, interessi, tratti caratteriali e convinzioni, che sono state tutte sviluppate attraverso le mie interazioni con gli altri. Quando si considera la pienezza del sé umano, l'idea di un soggetto isolato, puro e formale dell'esperienza è un'astrazione (Husserl 1968, 210). Date le giuste condizioni e circostanze, il sé acquisisce una comprensione personale di sé, cioè si sviluppa in una persona e come una persona (cfr. Husserl 1952, 265). E questo sviluppo dipende fortemente dall'interazione sociale (Husserl 1973b, 170–171).

Questo tipo di autocoscienza apre anche la possibilità di autoalienazione, notoriamente spiegata da Sartre in termini di sguardo dell'altro. Per Sartre, perché il nostro essere, insieme al suo essere-per-sé, è anche per gli altri; l'essere che viene rivelato alla coscienza riflessiva è per se stesso per gli altri”(1956, 282). Da questo punto di vista, l'esperienza primaria dell'altro non è che la percepisco come una sorta di oggetto in cui devo trovare una persona, ma percepisco l'altro come un soggetto che mi percepisce come un oggetto. La mia esperienza dell'altro è allo stesso tempo un'esperienza che coinvolge la mia autocoscienza, un'autocoscienza in cui sono pre-riflessivamente consapevole di essere un oggetto per un altro. Questa esperienza può motivare ulteriormente un'autocoscienza riflessiva, poiché considero come devo apparire all'altro.

Merleau-Ponty (1945, 415) suggerisce che lo sguardo dell'altro può motivare questo tipo di autocoscienza solo se ho già un senso della mia visibilità sull'altro. Questo senso della mia visibilità, tuttavia, è immediatamente collegato al senso pre-riflessivo, propriocettivo-cinestetico del mio corpo, un'intuizione che risale all'analisi di Husserl (menzionata sopra). Merleau-Ponty nota il suo legame con la capacità di imitazione del bambino, e questo è portato avanti ai più recenti progressi nella psicologia dello sviluppo (vedi Merleau-Ponty, 1945, 165, 404-405; 2010; Gallagher e Zahavi 2012; Zahavi 1999, 171 -72). In effetti, sebbene molta enfasi sia caduta sulla visione e sullo sguardo dell'altro nei resoconti fenomenologici dell'autocoscienza,Le esperienze propriocettive e tattili hanno un primato dello sviluppo ed emergono nell'ambiente prenatale in modi che consentono esperienze relazionali molto basilari di auto-movimento rispetto al movimento del corpo materno (Lymer 2010; 2014; Ciaunica & Crucianelli 2019; Ciaunica & Fotopoulou 2016) e continuano a svolgere un ruolo significativo nelle interazioni incorporate con gli operatori sanitari durante la prima infanzia. A questo proposito, le esperienze intersoggettive / intercorporali possono influenzare l'autocoscienza del corpo pre-riflessivo. Ciò complica qualsiasi affermazione secondo cui l'esperienza pre-riflessiva della proprietà del corpo è principalmente per l'autoconservazione (Ciaunica & Crucianelli 2019; de Vignemont 2018). Fotopoulou 2016), e continuano a svolgere un ruolo significativo nelle interazioni incorporate con i caregiver durante la prima infanzia. A questo proposito, le esperienze intersoggettive / intercorporali possono influenzare l'autocoscienza del corpo pre-riflessivo. Ciò complica qualsiasi affermazione secondo cui l'esperienza pre-riflessiva della proprietà del corpo è principalmente per l'autoconservazione (Ciaunica & Crucianelli 2019; de Vignemont 2018). Fotopoulou 2016), e continuano a svolgere un ruolo significativo nelle interazioni incorporate con i caregiver durante la prima infanzia. A questo proposito, le esperienze intersoggettive / intercorporali possono influenzare l'autocoscienza del corpo pre-riflessivo. Ciò complica qualsiasi affermazione secondo cui l'esperienza pre-riflessiva della proprietà del corpo è principalmente per l'autoconservazione (Ciaunica & Crucianelli 2019; de Vignemont 2018).

Questo non è il posto dove entrare in una discussione dettagliata di questi temi ricchi e complessi, questioni che si estendono alle analisi di fenomeni quali empatia, vergogna, colpa e così via (vedi Zahavi 2010, 2014). Ma è importante rendersi conto che l'autocoscienza è un concetto poliedrico. Non è qualcosa che può essere analizzato esaurientemente semplicemente esaminando il funzionamento interno della mente.

6. Conclusione

La nozione di autocoscienza è stata oggetto di un'analisi ricca e complessa nella tradizione fenomenologica. Aspetti dell'analisi fenomenologica emergono anche in altre aree di ricerca, tra cui il femminismo (Stawarska 2006; Young 2005; Heinämaa 2003), la psicologia ecologica (Gibson 1966) e le recenti analisi della percezione enattiva (Gallagher 2017b; Noë 2004; Thompson 2008). Il riconoscimento dell'esistenza di una forma primitiva di autocoscienza pre-riflessiva è un importante punto di partenza per la comprensione di forme più elaborate di autocoscienza dipendenti dal concetto e dal linguaggio. Le analisi fenomenologiche mostrano che questi processi sono più di eventi puramente mentali o cognitivi poiché coinvolgono integralmente l'incarnazione e le dimensioni intersoggettive.

Bibliografia

Riferimenti

  • Armstrong, DM, 1968. Una teoria materialista della mente, Londra: Routledge e Kegan Paul.
  • Baker, LR, 2000. Persone ed organi, Cambridge: Cambridge University Press.
  • Bermúdez, JL 2017. “Proprietà e spazio del corpo”, in F. de Vignemont e A. Alsmith (a cura di), The Subject's Matter, Cambridge, MA: MIT Press, pagg. 117–144.
  • –––, 2011. “Consapevolezza corporale e autocoscienza”, a S. Gallagher (a cura di), Oxford Handbook of the Self, Oxford: Oxford University Press, pp. 157–79.
  • –––, 1998. Il paradosso dell'autocoscienza, Cambridge, MA: MIT Press.
  • Billon, A. 2013. “La coscienza implica soggettività? Il puzzle dell'inserzione del pensiero,”Philosophical Psychology, 26: 291–314.
  • ––– e Kriegel, U. 2014. “Dilemma di Jaspers: la sfida psicopatologica alle teorie della soggettività della coscienza”, in R. Gennaro (a cura di), Disturbed Consciousness, Cambridge, MA: MIT Press, pp. 29–54.
  • Bortolotti, L. e Broome, M. 2009. “Un ruolo di proprietà e paternità nell'analisi dell'inserimento del pensiero”, Fenomenologia e scienze cognitive, 8: 205–224.
  • Brentano, F., 1874. Psychologie vom empirischen Standpunkt, I. Amburgo: Felix Meiner. Traduzione inglese: LL McAlister. Psicologia dal punto di vista empirico, Londra: Routledge, 1973.
  • Butterworth, G., 1995. "Una prospettiva ecologica sulle origini del sé", in J. Bermúdez, A. Marcel e N. Eilan (a cura di) The Body and the Self, Cambridge, MA, MIT / Bradford Press, pagg. 87–107.
  • –––, 1999. "Una prospettiva di sviluppo ecologico sul" Sé "di Strawson, in S. Gallagher e J. Shear (a cura di) Modelli del sé, Exeter: Imprint Academic.
  • Carruthers, P., 1996. Lingua, pensieri e coscienza. Un saggio di psicologia filosofica, Cambridge: Cambridge University Press.
  • –––, 2000. Coscienza fenomenale, Cambridge: Cambridge University Press.
  • Ciaunica, A. e Crucianelli, L. 2019. “Minima autocoscienza: da una prospettiva evolutiva”, Journal of Consciousness Studies, 26 (3-4): 207–226.
  • ––– e Fotopoulou, A. 2017. “Il sé toccato: prospettive psicologiche e filosofiche sull'intersoggettività prossimale e il sé”, in C. Durt, T. Fuchs e C. Tewes (a cura di), Embodiment, Enaction e Cultura: indagine sulla Costituzione del mondo condiviso, Cambridge, MA: MIT Press, pagg. 173-192.
  • Dainton, B. 2016. “I - il senso di sé. Società aristotelica, Volume supplementare, 90 (1): 113–143.
  • –––, 2008. The Phenomenal Self, Oxford: Oxford University Press.
  • Dennett, D., 1976. "Condizioni di personalità", in A. Rorty (a cura di) Le identità delle persone, Berkeley: University of California Press, pp. 175–96.
  • De Vignemont, F. 2018. Mind the Body: An Exploration of Bodily Self-Awareness, Oxford: Oxford University Press.
  • Dreyfus, HL 2005. "Superare il mito del mentale: come i filosofi possono trarre profitto dalla fenomenologia della competenza quotidiana," Atti e indirizzi dell'American Philosophical Association, 79 (2): 47–65.
  • –––, 2007a. "Il ritorno del mito del mentale," Inquiry, 50 (4): 352–65.
  • –––, 2007b,”Risposta a McDowell,“Richiesta, 50 (4): 371–77.
  • Evans, CO, 1970. The Subject of Consciousness, London: George Allen & Unwin.
  • Flanagan, O., 1992. Coscienza riconsiderata, Cambridge, MA: MIT Press.
  • Flavell, JH, 1993.”Comprensione del pensiero e della coscienza dei bambini piccoli,“Current Directions in Psychological Science, 2 (2): 40–43.
  • Frith, C., 1992. Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, Psychology Press.
  • Gallagher, S., 1998. The Inordinance of Time, Evanston: Northwestern University Press.
  • –––, 2004.”Modelli neurocognitivi di schizofrenia, psicopatologia, 37: 8–19.
  • –––, 2005. Come il corpo modella la mente, Oxford: Oxford University Press.
  • –––, 2017a. Autodifesa: deviare le critiche deflazionistiche ed eliminativiste del senso di proprietà. Frontiers in Human Neuroscience, 8: 1612.
  • –––, 2017b. Interventi enactivisti: ripensare la mente, Oxford: Oxford University Press.
  • ––– e Zahavi, D., 2012. The Phenomenological Mind, London: Routledge.
  • Gibson, JJ, 1966. I sensi considerati sistemi percettivi, Boston: Houghton Mifflin.
  • Goldman, A., 1970. A Theory of Human Action, New York: Prentice-Hall.
  • Guillot, M. 2017. “I me mine: On a confusion about the soggettività dell'esperienza”, Review of Philosophy and Psychology, 8: 23–53.
  • Heinämaa, S., 2003. Verso una fenomenologia della differenza sessuale: Husserl, Merleau-Ponty, Beauvoir, Lanham, MD: Rowman & Littlefield.
  • Hart, J., 1992. La persona e la vita comune, Dordrecht: Kluwer Academic.
  • Heidegger, M., 1986. Sein und Zeit, Tübingen: Max Niemeyer; Traduzione inglese: J. Stambaugh. Essere e tempo, Albany: SUNY Press, 1996.
  • –––, 1989. Die Grundprobleme der Phänomenologie, Gesamtausgabe Band 24. Francoforte sul Meno: Vittorio Klostermann; Traduzione inglese: A. Hofstadter. The Basic Problems of Phenomenology, Bloomington, IN: Indiana University Press, 1982.
  • Henry, M., 1963. L'Essence de la Manifestation, Parigi: PUF; Traduzione inglese: The Essence of Manifestation, tradotto da G. Etzkorn. L'Aia: Martinus Nijhoff, 1973.
  • –––, 1965. Philosophie et phénoménologie du corps, Parigi: PUF; Traduzione inglese: filosofia e fenomenologia del corpo, traduzione di G. Etzkorn. L'Aia: Martinus Nijhoff, 1975.
  • Høffding, S. 2018. Una fenomenologia dell'assorbimento musicale, Cham: Palgrave-Macmillan.
  • Howell, RJ e Thompson, B. 2017. "Fenomenicamente mio: alla ricerca del carattere soggettivo della coscienza", Review of Philosophy and Psychology, 8: 103–127.
  • Hume, D., 1739. Un trattato di natura umana, ed. LA Selby Bigge. Oxford: Clarendon Press, 1975.
  • Husserl, E., 1952. Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Zweites Buch: Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution, a cura di M. Biemel. L'Aia, Paesi Bassi: Martinus Nijhoff; Traduzione inglese: idee riguardanti una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, secondo libro. Studi di fenomenologia della costituzione, tradotto da R. Rojcewicz e A. Schuwer. Dordrecht: Kluwer, 1989.
  • –––, 1959. Erste Philosophie II 1923–24, Husserliana VIII. Den Haag: Martinus Nijhoff.
  • –––, 1966. Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewu? Tseins (1893–1917). Husserliana 10, L'Aia: Martinus Nijhoff.
  • –––, 1968. Phänomenologische Psychologie. Vorlesungen Sommersemester. 1925, a cura di Walter Biemel. L'Aia, Paesi Bassi: Martinus Nijhoff; Traduzione inglese: psicologia fenomenologica: lezioni frontali, semestre estivo, 1925, traduzione di J. Scanlon. L'Aia: Martinus Nijhoff, 1977.
  • –––, 1973a. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität I, Husserliana XIII. Den Haag: Martinus Nijhoff.
  • –––, 1973b. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität II, Husserliana XIV. Den Haag: Martinus Nijhoff.
  • –––, 1973c. Ding und Raum: Vorlesungen 1907, a cura di Ulrich Claesges. L'Aia, Paesi Bassi: Martinus Nijhoff; Traduzione inglese: cosa e spazio: lezioni del 1907, tradotto da R. Rojcewicz. Dordrecht: Kluwer Academic, 1997.
  • –––, 1984a. Logische Untersuchungen II, Husserliana XIX / 1–2. Den Haag: Martinus Nijhoff; Traduzione in inglese: Logical Investigations, 2 vols. Tradotto da JN Findlay. Londra: Routledge, 2001.
  • –––, 1984b. Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie, Husserliana XXIV. Den Haag: Martinus Nijhoff.
  • –––, 1988. Aufsätze und Vorträge. 1922-1937, Ed. T. Nenon e HR Sepp. L'Aia, Paesi Bassi: Kluwer Academic Publishers.
  • James, W., 1890. The Principles of Psychology, New York: Dover, 1950.
  • Kriegel, U. (ed.), 2006. Coscienza e autorappresentazione. Psiche, 12/2, disponibile online.
  • –––, 2009. Coscienza soggettiva: una teoria autorappresentativa, Oxford: Oxford University Press.
  • ––– e Williford, K. (a cura di), 2006. Approcci auto-rappresentativi alla coscienza, Cambridge, MA.: MIT Press.
  • Lane, T., 2012. “Verso un quadro esplicativo per la proprietà mentale”, Fenomenologia e scienze cognitive, 11 (2): 251–286.
  • Legrand, D., 2007. “Autocoscienza pre-riflessiva: sull'essere corporali nel mondo”, Janus Head, 9 (2): 493–519
  • Lowe, EJ, 2000. Introduzione alla filosofia della mente, Cambridge: Cambridge University Press.
  • Lycan, WG, 1987. Consciousness, Cambridge, MA: MIT Press.
  • Lymer, J., 2014. “Imitazione infantile e sé: una risposta a gallese”, Psicologia filosofica, 27 (2): 235–257.
  • Lymer, J., 2010. La fenomenologia del legame materno-fetale. PhD. Tesi di laurea, Università di Wollongong.
  • Meltzoff, A., 1990a. "Fondamenti per lo sviluppo di un concetto di sé: il ruolo dell'imitazione nel relazionarsi con l'altro e il valore del mirroring sociale, della modellizzazione sociale e della pratica personale nell'infanzia", in D. Cicchetti M. Beeghly (a cura di) The Self in Transition: Infancy to Childhood, Chicago: University of Chicago Press, pagg. 139–164.
  • –––, 1990b. "Verso una scienza cognitiva evolutiva: le implicazioni della corrispondenza e dell'imitazione cross-modale per lo sviluppo della rappresentazione e della memoria nell'infanzia", Annals of the New York Academy of Science, 608: 1–31.
  • Merleau-Ponty, M., 2010. Psicologia infantile e pedagogia: lezioni sulla Sorbona 1949-1952, Trans. T. Welsh. Evanston: Northwestern University Press.
  • –––, 1945. Phénoménologie de la perception, Parigi: Éditions Gallimard; Traduzione inglese, DA Landes, Phenomenology of Perception, Londra: Routledge, 2012.
  • Montero, B., 2016. Thought in Action: Expertise and the Conscious Mind, New York: Oxford University Press.
  • Montero, B., 2010. "La consapevolezza corporea interferisce con movimenti altamente qualificati?" Richiesta, 53 (2): 105-122
  • Nagel, T., 1974. "Com'è essere un pipistrello?", Revisione filosofica, 83: 435–50.
  • Neisser, U., 1988. “Cinque tipi di conoscenza di sé”, Psicologia filosofica, 1: 35–59.
  • Noë, A., 2004. Action in Perception, Cambridge, MA: MIT Press.
  • Poellner, P., 2003. "Contenuto non concettuale, esperienza e sé", Journal of Consciousness Studies, 10 (2): 32–57.
  • Ricoeur, P., 1950. Philosophie de la volonté. I. Le volontaire et l'involontaire, Parigi, Aubier; Traduzione inglese: E. Kohak. Libertà e natura: il volontario e l'involontario, Evanston: Northwestern University Press, 1966.
  • Rosenthal, DM, 1997. "Una teoria della coscienza", in N. Block, O. Flanagan e G. Güzeldere (a cura di) The Nature of Consciousness, Cambridge, MA: MIT Press, pp. 729-753.
  • Sartre, J.-P., 1936. La trascendenza dell'ego, Parigi: Vrin; Traduzione inglese, F. Williams e R. Kirkpatrick, La trascendenza dell'ego, New York: The Noonday Press, 1957.
  • –––, 1943. L'Etre et le néant, Parigi: Tel Gallimard; Traduzione inglese: HE Barnes, Being and Nothingness, New York: Philosophical Library, 1956.
  • Searle, JR, 1992. The Rediscovery of the Mind, Cambridge, MA: MIT Press.
  • Calzolaio, S., 1968. "L'autoreferenzialità e l'autocoscienza", The Journal of Philosophy, LXV: 556–579.
  • Stawarska, B., 2006. "Dal corpo proprio alla carne: Merleau-Ponty sull'intersoggettività", in D. Olkowski e G. Weiss (a cura di), interpretazioni femministe di Maurice Merleau-Ponty, State College, Pennsylvania: Penn State University Press.
  • Stern, D., 1985. Mondo interpersonale del bambino, New York: libri di base.
  • Sutton J, McIlwain D, Christensen W. e Geeves A., 2011. "Applicazione dell'intelligenza ai riflessi: abilità e abitudini incarnate tra Dreyfus e Cartesio", J British Society Phenomenology, 42 (1): 78–103
  • Taylor, C., 1989. Fonti di sé, Cambridge, MA: Harvard University Press.
  • Thompson, E., 2007. Mind in Life: Biology, Phenomenology and the Sciences of Mind, Cambridge, MA: Harvard University Press.
  • Wilkes, KV, 1988. Persone reali: identità personale senza esperimenti di pensiero, Oxford: Clarendon Press.
  • Wittgenstein, L., 1958. The Blue and Brown Books, Oxford: Blackwell
  • Young, IM, 2005. Sull'esperienza del corpo femminile: “Lancio come una ragazza” e altri saggi, Oxford: Oxford University Press.
  • Zahavi, D., 1999. Autocoscienza e alterità: un'indagine fenomenologica, Evanston: Northwestern University Press.
  • –––, 2002. “Pensieri in prima persona e consapevolezza di sé incarnata: alcune riflessioni sulla relazione tra la recente filosofia analitica e la fenomenologia”, Fenomenologia e scienze cognitive, 1, 7–26.
  • –––, 2003. “La coscienza del tempo interiore e l'autocoscienza pre-riflessiva”, in D. Welton (a cura di) The New Husserl: A Critical Reader, Bloomington: Indiana University Press, pp. 157–80.
  • –––, 2004. “Back to Brentano ?,” Journal of Consciousness Studies, 11 (10–11): 66–87.
  • –––, 2010. “La vergogna e il sé esposto”, in J. Webber (a cura di), Reading Sartre: On Phenomenology and Existentialism, London: Routledge, pp. 211–226.
  • –––, 2014. Sé e altro: esplorare la soggettività, l'empatia e la vergogna, Oxford: Oxford University Press.
  • –––, 2018. “Coscienza, autocoscienza, identità personale: una risposta ad alcuni critici”, Review of Philosophy and Psychology, 9: 703–718.
  • –––, 2019. “Coscienza e (minima) identità: diventare più chiari su me stesso e la meschinità”, in U. Kriegel (a cura di), Oxford Handbook of the Philosophy of Consciousness, Oxford University Press.

Bibliografia correlata

  • Aboulafia, M., 1986. Il sé mediante: Mead, Sartre e autodeterminazione, New Haven: Yale University Press.
  • Albahari, M., 2006. Buddismo analitico: l'illusione a due livelli del sé, New York: Palgrave Macmillan.
  • Barbaras, R., 1991. “Le sens de l'auto-affection chez Michel Henry e Merleau-Ponty”, Epokhé, 2: 91–111.
  • Bergoffen, DB, 1978. “La trascendenza dell'ego di Sartre: una lettura metodologica”, Philosophy Today, 22: 224–51.
  • Bermúdez, JL, Marcel, A. e Eilan, N., 1995. The Body and the Self, Cambridge, MA: MIT Press.
  • Busch, TW, 1977. “Sartre e i sensi dell'alienazione”, Southern Journal of Philosophy, 15: 151–60.
  • Cassam, Q. (ed.), 1994. Conoscenza di sé, Oxford: Oxford University Press.
  • Chisholm, RM, 1969. “Sull'osservabilità di sé”, Filosofia e ricerca fenomenologica, 30: 7–21.
  • Colombetti, G. 2011. “Varietà di autocoscienza pre-riflessiva: sensazioni corporee in primo piano e di fondo nell'esperienza emotiva”, Inquiry, 54 (3): 293–313.
  • Depraz, N., 1995. “Posso anticiparmi? Autoaffetto e temporalità”, in D. Zahavi (a cura di). Autocoscienza, temporalità e alterità, Dordrecht: Kluwer Academic, pagg. 85–99.
  • Frank, M. (ed.), 1991. Selbstbewusstseinstheorien von Fichte bis Sartre, Francoforte sul Meno: Suhrkamp.
  • –––, 1991. Selbstbewusstsein und Selbsterkenntnis, Stoccarda: Reclam.
  • Gallagher, S. (a cura di), 2011. The Oxford Handbook of the Self, Oxford: Oxford University Press.
  • –––, 2000. “Concezioni filosofiche del sé: implicazioni per la scienza cognitiva”, Trends in Cognitive Sciences, 4 (1): 14–21.
  • –––, 1996. “Il significato morale dell'autocoscienza primitiva”, Etica, 107 (1): 129–40.
  • Gennaro, RJ, 2002. "Jean-Paul Sartre e la teoria calda della coscienza", Canadian Journal of Philosophy, 32 (3): 293–330.
  • Henrich, D., 1970. “Selbstbewusstsein: Kritische Einleitung in einer Theorie”, in R. Bubner (a cura di) Hermeneutik und Dialektik I, Tubinga, pp. 257–284; Traduzione inglese: "Autocoscienza: un'introduzione critica a una teoria", Man and World, 4: 3–28.
  • Kapitan, T., 1999. “L'ubiquità dell'autocoscienza”, Grazer Philosophische Studien, 57: 17–43.
  • Kenevan, PB, 1981. “Autocoscienza e ego nella filosofia di Sartre”, in PA Schilpp (a cura di), The Philosophy of Sartre, LaSalle IL: Open Court.
  • Kern, I., 1989. “Selbstbewusstein und Ich bei Husserl”, in Husserl-Symposion Mainz 1988, Stoccarda: Akademie der Wissenschaften und der Literatur, pagg. 51–63.
  • Legrand, D., 2006. “L'io corporeo: le radici sensomotorie dell'autocoscienza pre-riflessiva”, Fenomenologia e scienze cognitive, 5 (1): 89-118.
  • Legrand, D. 2007. “L'auto-soggetto pre-riflessivo dal punto di vista esperienziale ed empirico”, Coscienza e cognizione, 16 (3): 583–599.
  • Marbach, E., 1974. Das Problem des Ich in der Phänomenologie Husserls, L'Aia: Martinus Nijhoff.
  • Miguens, S., Preyer, G. e Morando, CB (a cura di), 2015. Coscienza pre-riflessiva: Sartre and Contemporary Philosophy of Mind, Londra: Routledge.
  • Pothast, U., 1971. Über einige Fragen der Selbstbeziehung, Francoforte sul Meno: Vittorio Klostermann.
  • Prado, C.-G., 1978. “Coscienza riflessiva”, Dialogo, 17: 134–37.
  • Priest, S., 2000. “Il concetto di soggetto-corpo di Merleau-Ponty”, Nursing Philosophy, 1 (2): 173–174.
  • Rosenberg, J., 1981. “Apperception e il cogito pre-riflessivo di Sartre”, American Philosophical Quarterly, 18: 255–60.
  • Sartre, J.-P., 1948. “Coscienza di Dio e Convento di Dio”, Bollettino della Società francese di filosofia, 42: 49–91; Traduzione inglese: “Coscienza di sé e conoscenza di sé”, in N. Lawrence e D. O'Connor (a cura di), Letture in fenomenologia esistenziale, Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall, pagg. 113–42.
  • Schear, JK, 2009. “Esperienza e autocoscienza”, Philosophical Studies, 144 (1): 95–105.
  • Schmitz, H., 1991. “Leibliche und personale Konkurrenz im Selbstbewusstsein”, in B. Kienzle e H. Pape (a cura di), Dimensionen des Selbst, Francoforte sul Meno: Suhrkamp, pagg. 152–68.
  • Schroeder, W.-R., 1984. Sartre e i suoi predecessori: The Self and the Others, Londra: Routledge e Kegan Paul.
  • Calzolaio, S., 1994. "Conoscenza di sé e" senso interiore "," Filosofia e ricerca fenomenologica, 54: 249–314.
  • Tani, T., 1998. "Inchiesta sull'io, la rivelazione e l'autocoscienza: Husserl, Heidegger, Nishida", Continental Philosophy Review, 31 (3): 239–53.
  • Tugendhat, E., 1979. Selbstbewusstsein und Selbstbestimmung. Sprachanalytische Interpretationen, traduzione inglese: Stern. Autocoscienza e autodeterminazione, Cambridge, MA: MIT Press.
  • Varga, S., 2012. “Autocoscienza non riflessiva: verso un racconto 'situato',” Journal of Consciousness Studies, 19 (3–4) L 164–193.
  • Wider, K., 1987. "Inferno e argomento di lingua privata: Sartre e Wittgenstein sull'autocoscienza, il corpo e altri", Journal of British Society for Phenomenology, 18: 120–32.
  • –––, 1993. "Sartre and the Long Distance Truck Driver: The Reflexivity of Consciousness", Journal of British Society for Phenomenology, 24 (3): 232–49.
  • –––, 1997. The Bodily Nature of Consciousness: Sartre and Contemporary Philosophy of Mind, Ithaca: Cornell University Press.
  • Zahavi, D., 2005. Soggettività e Selfhood: indagine sulla prospettiva in prima persona, Cambridge, MA: The MIT Press.

Strumenti accademici

icona dell'uomo sep
icona dell'uomo sep
Come citare questa voce.
icona dell'uomo sep
icona dell'uomo sep
Visualizza l'anteprima della versione PDF di questa voce presso Friends of the SEP Society.
icona di inpho
icona di inpho
Cerca questo argomento nell'Internet Philosophy Ontology Project (InPhO).
icona di documenti phil
icona di documenti phil
Bibliografia avanzata per questa voce su PhilPapers, con collegamenti al suo database.

Altre risorse Internet

  • Bibliografia sull'autocoscienza, su PhilPapers.org.
  • Progetto congiunto di filosofia e psicologia sulla coscienza e autocoscienza, Naomi Eilan (Warwick University).
  • Centro per la ricerca sulla soggettività, Dan Zahavi (Università di Copenaghen).

Raccomandato: